30 novembre 2007

CACO O KACO?! KAKI !!


Innanzitutto è kaki, sempre e comunque. Plurale o singolare che sia. E già qui mi tolgo il dubbio della settimana. Ancora nell’incertezza linguistica di cacokacokaki ne ho comprati troppi ( i famosi occhi più grandi della bocca..) ed alla fine ho avuto necessità di trovare un escamotage per liberare il frigo dall’invasione arancione. Avevo assaggiato una buonissima torta di cacokacokaki e cioccolato, ma i dolci per qualche congiunzione astrale non mi riescono. Mai mai mai.  Ho deciso di fare una gelatina, che con i formaggi è una me-ra-vi-glia. Ingredienti : 3 cacokacokaki, un chilo di zucchero, un limone, un bicchiere d’acqua.  Prima di tutto sbucciare i cacokacokaki togliere i semi e schiacciare la polpa nel passa verdure. In una pentola si mette lo zucchero, l’acqua e la buccia del limone tagliata in un’unica striscia ( o due, al massimo tre) . Ora quando lo sciroppo schiarisce, ma quando schiarisce?! Smettila di guardalo e schiarisce ( per la stessa legge dell’acqua che deve bollire ), ecco a quel punto si aggiunge la purea di cacokacokaki. Continua a cuocere ed a mescolare finché la consistenza non è gelatinosa. Ora, gesto rapido, tutto nel barattolo di vetro, chiusura ermetica e tienilo a testa in giù fino a quando si sarà raffreddato. Invita gli amici a cena, spendi una fortuna in formaggi e vini e vantati della gelatina di cacokacokaki fatta da te.

Le grandi manovre

E' così importante, così impegnativo, così definitivo invitare qualcuno a cena? Per me, no; ma, per la maggioranza delle persone, sì.  Invitare qualcuno a cena a casa propria è un chiaro segnale del fatto che si sono aperte le grandi manovre, che l'esercito si è mosso, e che, presto o tardi, SARAI MIA, MIO, LA COSA E' FATALE E' SOLTANTO QUESTIONE DI TEMPO...

Va bene. Ora calmatevi. Bevete un bicchier d'acqua, prendete una valeriana, o anche mezzo lexotan a dosaggio minimo. Respirate. Ascoltatemi: è solo una cena. E, poichè avete bisogno di fare moto, prendete il portafoglio e andate al mercato. Qui vi eserciterete nel sollevamento pesi (vi consiglio perciò di comprare cibi "pesanti" in senso letterale: mele, zucca, patate...), onde l'estenuazione del fisico vi calmi adeguatamente l'ansia; però non trascurerete di passare dal pescivendolo, a recuperare mezzo chilo di scampi. Costano? Sì, costano. Ma non avevate iniziato le grandi manovre? Pensavate forse che la guerra non avesse a che fare con i soldi?

Se avete scelto un mercato adeguatamente lontano, tornerete a casa distrutti. Lasciate perdere ogni cosa, dormite due ore. Poi svegliatevi e mettete a lessare le patate. Indi prendete un mortaio. Avete capito bene: un mortaio. Non nel senso dell'arma da fuoco, però. Nel senso di vaso e pestello. Se non possedete un mortaio, potete fare quanto sto per descrivere con l'aiuto di un batticarne e due fogli di plastica trasparente... Ma datemi retta e comprate un mortaio: è un investimento per la vita.

Nel mortaio butterete: un po' di timo al limone (non coltivate il timo al limone sul balcone come la sottoscritta? E che posso farci io?), un pugnetto di semi di cardamomo verde sbucciati (questi li trovate da qualcunque venditore di spezie. Ah, il cardamomo è carissimo, costa tra i 4 e i 6 euro l'etto, sicchè non stupitevi!), e anche qualche foglia di basilico se è stagione. Pestate! Se siete maschi, potete caricare di ovvia valenza erotica la faccenda; se siete donne, avete certo rancori da sfogare. Dopo 10 min.- un quarto d'ora avrete ottenuto un risultato passabile (il cardamomo ha una durezza inferiore al diamante, ma certo maggiore delle altre spezie: perciò scordatevi la perfezione). A questo punto prendete i vostri scampi, tagliateli a metà, disponeteli in un piatto (o in una teglia) su di un abbondante letto composto da quelle patate che vi avevo esortato a lessare in precedenza, cospargete il tutto del pesto che avrete ottenuto nonchè di un buon olio extravergine non troppo "forte", salate, pepate e infilate nel microonde (o in forno tradizionale: donde la scelta tra il piatto di ceramica e la teglia). In un modo o nell'altro, ci metteranno poco, perciò occhio: se l'oggetto del vostro desiderio è di indole tardiva, vi conviene addirittura attenderne l'arrivo, piuttosto che trovarvi a servire degli scampi rinsecchiti... Mangiate piano, e beveteci sopra un bianco adeguatamente petillant. State calmi: molto probabilmente andrà bene, e, se anche così non fosse, almeno avrete mangiato decentemente...

28 novembre 2007

'a çimma

ti t’adesciâe ‘nsce l’éndegu du matin
ch’á luxe a l’à ‘n pé ‘n tèra e l’átru in mâ
ti t’ammiâe a ou spégiu de 'n tianin
ou çé ou s'ammià a ou spegiu dâ ruxà
ti mettiâe ou brûgu rédennu ’nte ‘n cantún
che se d’â cappa a sgûggia ‘n cuxin-a á stria
a xeûa de cuntâ ‘e págge che ghe sún
‘a çimma a l’è za pinn-a a l’è za cûxia

çé serén tèra scûa
carne ténia nu fâte néigra
nu turnâ dûa

bell’oueggé strapunta de tûttu bun
prima de battezálu ‘ntou prebuggiun
cun dui aguggiuîn dritu ‘n púnta de pé
da súrvia ‘n zû fitu ti ‘a punziggè
àia de lûn-a végia de ciaêu de négia
ch’ou cégu ou pèrde ‘a tèsta l’âse ou senté
oudú de mâ misciòu de pèrsa légia
cos’âtru fa cos’âtru dàghe a ou çè

çé serén tèra scûa
carne ténia nu fâte néigra
nu turnâ dûa
e ‘nt’ou núme de maria
tûtti diài da sta pûgnatta
anène via

poi vegnan a pigiàtela i câmé
te lascian tûttu ou fûmmu d’ou toêu mesté
tucca a ou fantín à prima coutelà
mangè mangè nu séi chi ve mangià

çé serén tèra scûa
carne ténia nu fâte néigra
nu turnâ dûa
e ‘nt’ou núme de maria
tûtti diài da sta pûgnatta
anène via

(fabrizio de andré, 'a çimma)

ti sveglierai sull’indaco del mattino
quando la luce ha un piede in terra e l’ altro in mare
ti guarderai allo specchio di un tegamino
il cielo si guarderà allo specchio della rugiada


metterai la scopa dritta in un angolo
che se dalla cappa scivola in cucina la strega
a forza di contare le paglie che ci sono
la cima è già piena è già cucita


cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura


bel guanciale materasso di ogni ben di dio
prima di battezzarla nelle erbe aromatiche
con due grossi aghi dritti in punta di piedi
da sopra a sotto svelto la pungerai


aria di luna vecchia di chiarore di nebbia
che il chierico perde la testa e l’asino il sentiero
odore di mare mescolato a maggiorana leggera
cos’altro fare cos’altro dare al cielo


cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di maria
tutti i diavoli da questa pentola
andate via


poi vengono a prendertela i camerieri
ti lasciano tutto il fumo del tuo mestiere
tocca allo scapolo la prima coltellata
mangiate mangiate non sapete chi vi mangerà


cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di maria
tutti i diavoli da questa pentola
andate via

21 novembre 2007

Tortelli o non tortelli?

L'idea è di andare domenica a mangiare i tortelli di zucca in quel del Po, fare proprio una gita tipo gruppo vacanza piemonte.

chi c'è?

Devo recuperare la ricetta dei tortelli e metterla qui?

No, no, vi prego, andiamo

18 novembre 2007

ricetta immorale - melanzane all'alessandrina

quattro melanzane
un pizzico di coriandolo in grani
otto foglie di menta fresca
due cucchiaini di aceto
dodici datteri
pinoli
un cucchiaio di miele
un cucchiaino di pasta di acciughe
un pizzico di cumino

fate cuocere le melanzane in una pentola di acqua bollente. dopo averle sgocciolate e sbucciate, disponetele in una pirofila, tritate i pinoli e i datteri e metteteli in un recipiente profondo, dove, insieme al miele, verserete l'aceto, il vino bianco e l'olio. in un mortaio pestate poi il coriandolo in grani, la menta e il cumino. dopo aver mescolato tutti gli ingredienti, versate l'impasto ottenuto sulle melanzane. scaldate il tutto fino a quando si alza il bollore. abbassate il fuoco e cuocete lentamente per quindici/venti minuti. condite con sale e pepe, e servite.

questa ricetta, non a caso alessandrina, viene tuttavia attribuita ad apicio, cuoco e gourmet nevrotico, di cui si insinua avesse un rapporto per niente chiaro con druso, fratello di tiberio.
si tratta comunque di un intruglio mediterraneo fatto con la sua materia prima fondamentale, ma che non intende avvalersi delle melanzane per dimostrare che la mediterraneità è faccenda poco chiara, al di là di quanto sostengono de chirico, d'ors e joan manuel serrat. nell'inventario delle mediterraneità figurano per diritto estetico proprio il pino, l'alloro, il limone e l'ulivo, senza sapere quale distrazione creativa fece sì che geova, in fin dei conti mediterraneo, collocasse un oggetto brutto e ambiguo come la melanzana tra la flora e la fauna del mare nostrum.
perché, tanto per cominciare: la melanzana è carne o verdura? domanda sbagliata per iniziare una cena, meglio schivarla. eppure durante una cena di omosessuali maschi, alla quale questo piatto calza a pennello, non sarebbe disdicevole un pizzico di erudizione e, a un certo punto, mentre si descrive l'aspetto fallico-demoniaco della melanzana nera, si può ricordare l'ambiguo rapporto tra apicio e druso, all'ombra di quel pazzo furioso che si chiamò tiberio.
piatto per l'estate e per il mare. il mediterraneo, perché no?
conviene che i commensali siano piuttosto abbronzati.

(gallipoli, maggio 2007)

(da manuel vázquez montalbán, ricette immorali)

12 novembre 2007

in forno a sinistra party 1.0

l'idea nasce da un altro post, ma la riprendo qui:

a parte le galettes bretoni che sono impossibili da fare per tanta gente, ma ci si può giocare a farsi ognuno la sua come gli piace, mettiamo a frutto le capacità culinarie in una cucinata comune?

l'idea di base è di cucinare in compagnia, non solo in modo virtuale ma anche in modo reale. chiacchierando mentre si mescolano gli ingredienti, pestandosi i piedi in cucina, e mangiando tutti insieme il prodotto delle nostre fatiche.

io posso mettere a disposizione una capace cucina (a parte il forno che è minimo), un tavolo, cinque fuochi, un set di pentole di tutto rispetto e di attrezzi da cucina pure, una lavastoviglie e una casa spaziosa, per cenare in piedi o seduti a seconda del numero di partecipanti. i cuochi si portano gli ingredienti per le loro ricette e eventuali strumenti che non siano già in casa (chiedete cosa vi serve e vi dirò se ce l'ho).
secondo me per fare con calma l'ideale sarebbe un sabato o una domenica pomeriggio, altrimenti non ci sono i tempi per fare più ricette.

chi ci sta? che date preferite? cosa vorreste cucinare? la discussione è aperta!

l'invito è esteso (e riservato) a tutte/i le/i partecipanti a questo blog e relative/i partner. location: milano nord. metropolitana comoda, parcheggio abbondante.

11 novembre 2007

il paradiso esiste ed è di mele


Nella forma del crumble, che fuori fa freddo e le mele cotte magari sono tristi MA non quando si crumbelizzano.


Allora, si prendono delle mele, basta che non siano quelle rosse di biancaneve che sono solo belle e che in quanto belle mi piace pansare siano stupide e inutili, diciamo quelle gialle o quelle un pò aciduline, ma poi fate voi, l'importante è che siano mele e che una volta sbucciate e detorsolate siano 750 gr.


Vi ho fatto intuire che le mele vadano sbucciate e detorsolate, ma non che poi si debbano tagliare a fettine e disporre con grazia in una pirofila imburrata, nel modello basic a raggiera, per chi ha fatto il corso avanzato a mosaico (è possibile comporre immagini di alberi di natale, fiori con i petali, e santini di martiri).


A questo punto si prendono 120 gr di farina, 70 gr di burro (tanto fa freddo, basta fare quattro passi e si brucia tutto, l'importante è auto convincersi) e 80 gr di zucchero mi raccomando di canna, un pochino ma proprio un pochino di cannella e si impasta tutto con movimenti sfrucuglianti, che il risultato finale devono essere delle briciole.


Avete sfrucugliato? Ecco, allora mettete le briciole, ovvero il risultato dello sfrucugliamento, sulle mele a raggiera (che tanto nessuno ci crede che avete fatto altre figure geometriche e non) e adagiate nel forno a 210 gradi per 20 minuti.


La morte sua è con una pallina di gelato alla vaniglia.

la galette bretonne e la storia di un naufragio

l'ultimo viaggo insieme è stato in bretagna, anzi gli ultimi due. prima la costa sud, da nantes a brest, poi la costa nord, da brest a saint-malo. posti bellissimi, coste struggenti punteggiate da fari che sanno di avventure antiche, capirò solo anni dopo l'importanza reale di quei punti di luce lampeggiante, di notte. l'hanno capito anche i marinai di tutti i naufragi che punteggiano quegli scogli. quei fari non ci hanno protetti dal naufragio, non abbiamo visto il loro avviso.
pedalavamo lungo la costa, con poco bagaglio, il minimo indispensabile, rassicurati dalla tradizionale foratura del primo giorno di viaggio. i pranzi volanti, le cene in creperia. la prima sera capimmo la differenza tra la crêpe e la galette, mai sentita prima. in italia esistono solo le crêpes, per ignoranza. da allora sono diventato un purista: la crêpe è rigorosamente dolce, la galette è rigorosamente salata. cidre brut, s'il vous plait. il classico è il val du rance, lo si trova anche a milano, in una traversa di buenos aires.
la galette è stato l'ultimo piatto che le ho visto mangiare con gusto. poi son stati solo tentativi falliti di riempirle lo stomaco con cibo sempre più elaborato come fosse affetto, inutili. ho imparato a cucinare per salvare un matrimonio. il matrimonio è fallito, è rimasto il gusto dei fornelli, sterile perché solitario. tornammo con il bagagliaio pieno di sidro, una tournette, la paletta per girare la galette, due boules per bere il sidro, una piastra di ghisa pesante da mettere sul fornello quello grande, al centro. spiammo i gesti nelle creperie, la densità dell'impasto, il giro veloce con il legnetto per stenderlo, i modi diversi di piegarla, che dipendono dal ripieno. la compléte è quella classica: prosciutto cotto, uovo, formaggio. il formaggio fonde mentre l'uovo si rapprende, diventano una crema unica indistinguibile e saporita, il tuorlo fluido resta scoperto oltre i bordi della galette ripiegati a portafoglio. un delirio di sapori, con l'amarognolo del saraceno croccante. sì perché la crêpe, dolce, si fa con la farina di frumento e troppe uova, mentre la galette, salata, si fa con il grano saraceno (ehi ma è lo stesso dei pizzoccheri e della taragna - benedetta valtellina! - vuoi vedere che lo troviamo anche in italia?) e pochissimo uovo.
allora al ritorno era una festa, il legnetto a T per stendere l'impasto me lo son fatto da solo, perché là non l'avevo trovato, e in italia non esiste. ho chiesto in un negozietto di crépes, a genova nei vicoli, ma pure lui se l'era fatto da solo. non è difficile. la sera per stuzzicare l'appetito e non accorgersi di mangiare veramente prendevamo i due etti e mezzo di farina, ci mettevamo il tuorlo dentro, pepe, sale, e l'acqua finché non ne usciva un impastone spesso, senza grumi. montare a neve ferma l'albume era affar mio, con la frustina quella di filo di acciaio a spirale viene da dio in un attimo, altro che frullatore. poi ci mischiavamo un cucchaino d'olio, e pian piano mettevamo tutto nel primo impasto. se era troppo denso aggiungevamo un po' d'acqua, se era troppo liquido... beh poco male. sarebbero venute più sottili e croccanti.
poi c'era il tempo del riposo, c'era un'ora di tempo per tagliare a striscioline il formaggio, quello tipo edamer era perfetto. o per rosolare col burro mezza cipolla, o per trifolare i funghi, insomma qualunque cosa si volesse mettere nelle galettes.
il bello delle galettes è che le fai una per volta, e che van mangiate calde, quindi le si mangia insieme, una in due ogni volta, una dietro l'altra. e ogni volta con uno straccetto o un po' di scottex ripassi la piastra calda con una goccia d'olio o mezza noce di burro, per togliere i resti di quella precedente e prepararla a quella nuova. poi di nuovo: un mestolo d'impasto al centro, un giro veloce col legnetto, quando si stacca la giri con la tournette, ingredienti al centro, la pieghi, et voilà.
ora, se ti capita di vedermi preparare una galette, significa che sono di nuovo innamorato.

7 novembre 2007

Biscotti per Polpetta (il beagle)

Torni a casa ed è sempre felice di vederti, è sempre pronto a farti delle coccole, la parola tradimento per lui non esiste, guarda con te sul divano qualsiasi film, non si lamenta mai dicendo che lo tieni al guinzaglio, gli piacciono sia le vetrine del centro che una passeggiata in campagna, adora le tue amiche, qualsiasi cosa cucini è sempre buonissima… si, ovviamente è il tuo cane, inutile dirlo.  Ora si potrebbe aprire una lunga diatriba sul come relazionarsi o meno con i cani , ma direi che non ho per nulla voglia di lunghe diatribe.  Se pensate che una volta nella vita potreste fare dei biscotti per il vostro cane proseguite con la lettura altrimenti smette di leggere  perché da qui in poi c’è poco di interessante per il palato umano. Mescolate mezzo chilo di farina di frumento integrale, 120 gr. di farina di soia, 60 gr. di farina di mais, 120gr. di semi di zucca, 1 cucchiaino di sale ed ora amalgamate il tutto con due uova sbattute con 60ml di latte ( tenete da parte un cucchiaio di uovo-latte ). Ora l’impasto deve risposare mezz’ora, giusto il tempo di una passeggiatina con l’essere scodinzolante. Una volta di nuovo a casa accendete il forno a 180° , stendete l’impasto allo spessore di un centimetro, tagliatelo come più vi piace e spennellate con quel che resta dell’uovo-latte. Trenta minuti abbondanti in forno e potrete gongolarvi guardando Fido che si lecca i baffi.

Memorie liguri


Un buon esordio sarebbe che non ci vuole una scienza, per fare la focaccia. Ma qualche nozione sì, e anche qualche presa di posizione decisa. Per esempio: acqua o latte? Per l'impasto, intendo. I puristi vogliono l'acqua, i golosi il latte (che genera un impasto più morbido). E l'olio? Amaro, dolce, denso, leggero? Comunque sia, ligure (Badalucco) o umbro (Spoleto o Assisi). D'accordo, ci sarebbero il Garda e altre enclaves su cui discurere. Però basta filosofia - olio di gomito, diamine! Asse per la pasta, farina bianca (facciamo quattro etti/mezzo chilo), latte tiepido, poco olio, lievito di birra in granella (se siete masochiste e volete usare il famigerato lievito fresco, fatti vostri. Io non c'entro!), due cucchiaini di zucchero. Impastare, impastare, impastare; e ricavarne un panetto morbido. Ficcarlo in una capace zuppiera (la capacità è indispensabile) e coprirlo (attenzione) NON con un telo (come i più sostengono) ma con un piatto. PERCHE'? Perchè, quando tornerete dopo un'ora a verificare gli avvenimenti, può accadere che (avendo voi scaldato troppo il latte) l'impasto sia "esploso" e dobbiate staccarlo dal piatto - nell'infelice ipotesi che abbiate usato il telo, dovreste buttare sia l'uno che l'altro.


In ogni modo, recuperate la vostra pasta lievitata, reimpastatela con violenza con altri tre-quattro etti di farina, un cucchiaino di sale (MAI aggiungere il sale alla prima lievitazione! Il lievito è un solitario irritabile e la prende malissimo...), latte e olio (sempre poco), e infine stendetela in teglia, tassativamente con le mani (si usano le nocche, piuttosto che i polpastrelli), dal centro verso l'esterno. Sbattete una tazza di acqua e olio insieme, e ungete abbondantemente (ripeto: abbondantemente) la focaccia con la medesima. Riponete indi la teglia in luogo sicuro (io uso il forno - spento, ovviamente...) e scordatevela almeno per 12 ore (24 per i fanatici), durante le quali la focaccia succhierà l'umido/unto del misto di acqua e olio ed insieme, magicamente, lieviterà. Trascorso il tempo indicato, premere la pasta con i polpastrelli onde ricavarne i famosi "buchini stile focaccia", ri-ungere il tutto e  salare con sale grosso (il sale fino non sala mai abbastanza...) e aggiungere eventuali coperture da voi auspicate (chessoio: rosmarino, patè di olive, acciughe, capperi, pomodoro...). Far cuocere a 200° per una mezz'oretta: dopodichè visionare, verificare (sarete ben capaci di vedere che colore piglia!), e casomai riungere con il solito misto di acqua e olio. Infine mangiare. Con spirito allegro e la finta approssimazione di chi ha appena compiuto un'impresa di tutto rispetto. 

6 novembre 2007

Spaghetti senza vongole

Sono 15 giorni che vi dite: "ùh! che voglia di pasta con le vongole, facciamo?"
Quindi finalmente vi recate in quel sssssssupermercato lì, sì, quello. Dove le comprate di solito.
Le avete già fatte spurgare per bene in acqua e sale quelle 3/4 orette, poi le avete messe in pentola con olio aglio e poi vino bianco che evapora e blablabla.
Intato che plop si aprono, avete preparato un trito finefine di cipolla e aglio, col tritaprezzemolo vien facile, tanto poi lo usate pure per il prezzemolo.
E quelle intanto plopplop si aprono.
Le guardi.
Sono carine.
All'improvviso BAM! ODDDDIO CHE SCHIFO COS'E' QUELLA ROBA???
Da una delle vostre vongolette adorate e desiderate fuoriesce una robaccia nera e vischiosa.
Tu ti allontani inorridita, lui, il cavaliersenzapaura, si avvicina circospetto alla pentola ed estrae la vongola aliena.
La posa sul lavandino.
Ne esce... cos'è?... pare asfalto sciolto... nero e orrido... CATRAME?
Bleah!
Cerchi di fare ritrovare al tuo stomaco il suo naturale alloggio, e apri il frigo.
L'abisso.
Acchiappi quella decina di pomodorini piccadilly superstiti... e quello... ah sì, un mezzo peperone in agonia.
Tagli il tutto, lo schiaffi nella padella con olio e aglio e cipolle destinati alle vongole.
Ci metti sale, peperoncino e pure un po' di zucchero.
E il prezzemolo?
Pure quello, sennò si butta.
E dato che deve essere speciale, anche un pizzico di timo, quello delle Langhe del suo amico.
E gli spaghetti al dente, quelli grossi della rummo, il massimo dello spaghetto esistente in commercio.
Sìsì... buona...
ma cavolo che voglia di spaghetti con le vongole!!!

Oh, ma a voi è mai capitato?

linguine alla cernia

decisamente quella cernia era eccessiva, per un pranzo come quello le vongole erano più che sufficienti. tanto poi ci sarebbe stato da pedalare, mica potevate riempirvi lo stomaco a quel modo. però tutto fa brodo, come che quel pomeriggio è servito a capire che non vi vedrete più. adieu. restano i filetti di cernia nel freezer, impacchettati alla meglio nella carta dal pescivendolo. hai presente quando poi sai che non riuscirai mai a scongelarne uno solo, perché ormai sono un blocco unico? ecco, puoi approfittarne, perché li tagli a strisce da congelati, poi si separeranno cuocendo e saranno perfetti. intanto fai aspettare un'amica in chat, tanto capirà. scalda un po' d'olio di quello buono che viene da roma, anzi da un po' più in giù, con due spicchi d'aglio. quando sono rosolati butta dentro la cernia, anche se è congelata chissene, tanto tagliata così si scongela in un attimo. aggiungi sale e pepe, falla rosolare un po' e prima che si asciughi buttaci un bel po' di vino bianco. quello avanzato dalle vongole va benissimo, se poi è lo stesso che ci berrai vicino ancora meglio. lascia che il vino svapori e faccia un po' di crema col pesce, ma non farla asciugare. buttaci le bavette un po' al dente e ancora umide, per farle finire di cuocere al salto aggiungendo il prezzemolo. l'apparente lusso del piatto è talmente semplice da poter essere stemperato mettendolo tra te e la tastiera, così puoi tornare alla chat, giusto in tempo...

4 novembre 2007

La domenica si fanno i muffin


Mescolare 220g di farina con 100g di zucchero, 2 cucchiaini di lievito in polvere e una presa di sale. A parte scaldare 120ml di latte con 120g di burro fino a quando il burro non si sarà sciolto. Aggiungere nel composto burro/latte un uovo leggermente sbattuto. Versare questo composto in quello con la farina e mescolare bene. Lavare 150g di fragole e tagliarle a cubetti, metterle in una ciotola, mescolare con un cucchiaino di aceto balsamico e lasciar marinare al fresco per una decina di minuti. Grattugiare la scorza di un limone non trattato, tritare un cucchiaino di pepe rosa e aggiungerli nell’impasto insieme alle fragole. Versare il composto a 3/4 dell’altezza di stampini da muffin, infornare a 180° per circa 30 minuti.




Bene questa è la ricetta nuda e cruda. Ma l’importante è il resto; con chi ti sei svegliato, il profumo di caffé che c’è in cucina, il piacere del calore del forno in una mattina d’inverno…